Con l’ordinanza n. 18918/2025, la Corte di Cassazione interviene sulla corretta applicazione dell’agevolazione “Tremonti Ambiente”, fissando i criteri per evitare duplicazioni fiscali sugli investimenti ambientali, come quelli per impianti fotovoltaici.
Nessuna doppia deduzione per i costi ambientali: l’applicazione dell’agevolazione anche per quanto riguarda gli impianti fotovoltaici
Come anticipato, una nuova pronuncia della Cassazione chiarisce i confini dell’agevolazione fiscale per investimenti ambientali previsti dalla cosiddetta “Tremonti Ambiente” (art. 6, commi 13-19, L. n. 388/2000).
Con l’ordinanza n. 18918 del 10 luglio 2025, la Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate, ribaltando la decisione della Corte tributaria regionale del Veneto e cassando la sentenza impugnata.
La controversia ha origine dalla richiesta di detassazione avanzata di una nota società che aveva dedotto integralmente il costo di un impianto fotovoltaico realizzato nell’anno d’imposta 2011.
Tale deduzione era stata operata in virtù dell’agevolazione ambientale introdotta dalla legge finanziaria per il 2001, finalizzata a incentivare gli investimenti atti a prevenire, ridurre o riparare i danni ambientali causati dall’attività d’impresa.
L’Agenzia delle Entrate, a seguito di un’attività istruttoria culminata con la presentazione di un questionario e un tentativo di adesione non andato a buon fine, aveva ridotto la deduzione spettante alla società.
In particolare ritenendo che vi fosse stata una sovrastima dei costi ammissibili. In primo grado, il giudice tributario aveva dato ragione all’Amministrazione.
Tuttavia, in appello, la società otteneva un parziale accoglimento, con la rideterminazione di una maggiore somma deducibile.
Contro questa decisione l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione, articolando due motivi principali, entrambi accolti dalla Suprema Corte.
La duplicazione agevolativa e la corretta applicazione della normativa UE
Il primo motivo di ricorso riguardava la violazione dell’art. 6, commi 13 e 15 della L. 388/2000 e dell’art. 2424 c.c., in riferimento al trattamento contabile e fiscale dei costi di ammortamento.
Secondo l’Agenzia, la deduzione integrale del costo dell’impianto nell’anno d’acquisto, secondo il cosiddetto “metodo incrementale”, escludeva la possibilità di dedurre anche le quote di ammortamento per gli anni successivi.
La Cassazione ha dato ragione all’Agenzia, ricordando che tali investimenti, se integralmente dedotti nell’anno di sostenimento, non possono generare un ulteriore beneficio fiscale tramite ammortamento nei periodi d’imposta successivi.
Una simile interpretazione, afferma la Corte, comporterebbe una duplicazione dell’agevolazione, non prevista né giustificabile dal quadro normativo.
La Suprema Corte richiama, a sostegno, il precedente orientamento espresso nella sentenza n. 23054/2023, che aveva già ribadito l’impossibilità di cumulare integralmente la deduzione del costo iniziale con quella delle quote annuali di ammortamento.
Il secondo motivo si fondava su una presunta errata applicazione della disciplina europea sugli aiuti di Stato, in particolare dell’art. 107 TFUE e della Comunicazione 2008/C 82/01.
L’Agenzia ha sostenuto che l’agevolazione fiscale in esame, costituendo un aiuto pubblico, deve essere conforme ai criteri stabiliti dal diritto dell’Unione Europea, che impone un confronto tra l’investimento “green” e quello tradizionale equivalente.
Anche su questo punto, la Cassazione ha accolto il ricorso. La Corte ha sottolineato che per stabilire l’ammissibilità del beneficio è necessario calcolare i sovraccosti ambientali.
Vale a dire i costi supplementari rispetto a un investimento equivalente non ambientale (ad esempio un impianto alimentato a fonti fossili).
Tale criterio è ribadito dal Regolamento CE n. 800/2008, che, sebbene abrogato nel 2014, resta applicabile al caso concreto ratione temporis.
L’ordinanza richiama in particolare la recente sentenza n. 8052/2025, che ribadisce come, ai sensi dell’art. 23 del Regolamento 800/2008, i costi ammissibili per l’agevolazione ambientale vanno calcolati al netto di vantaggi e costi operativi, oggi esclusi dal computo.
Non è quindi sufficiente provare l’intento “ecologico” dell’investimento, ma occorre dimostrarne lo svantaggio economico effettivo rispetto a un’alternativa convenzionale.
Questioni preliminari: la forma giuridica della società
In via preliminare, la Cassazione ha affrontato un rilievo processuale relativo alla legittimazione del controricorrente.
La società destinataria del ricorso era indicata come società in accomandita semplice, mentre agli atti del procedimento nei gradi precedenti risultava una società a responsabilità limitata.
La Corte ha chiarito che, trattandosi di una trasformazione intervenuta in corso di giudizio, la notifica resta valida e il ricorso può essere esaminato nel merito.
La Corte ha pertanto cassato la sentenza d’appello, rinviando la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto in diversa composizione.
A quest’ultima spetterà riesaminare il caso adeguandosi ai principi fissati dalla Cassazione, sia sul piano della corretta determinazione del beneficio ambientale sia nel rispetto della disciplina europea in materia di aiuti di Stato.
L’ordinanza conferma un importante orientamento giurisprudenziale: gli incentivi fiscali ambientali non possono essere applicati automaticamente o genericamente, ma devono essere ancorati a criteri tecnici e giuridici rigorosi.
La compatibilità con il diritto europeo e l’eliminazione di possibili duplicazioni fiscali sono dunque condizioni essenziali per garantire la legittimità dell’agevolazione.
In altre parole, la sentenza n. 18918/2025 si inserisce in un filone giurisprudenziale che mira a rafforzare il controllo sull’uso delle agevolazioni ambientali, impedendo derive opportunistiche e tutelando la coerenza del sistema fiscale.
Un messaggio chiaro per le imprese e i consulenti: l’uso delle detassazioni “verdi” richiede competenza, documentazione puntuale e attenzione alle regole UE.