Deposito temporaneo e distanza: la Cassazione ribadisce il principio della contiguità

Con la sentenza n. 21032/2012, la Corte di Cassazione si pronuncia in merito al deposito temporaneo di rifiuti, ribadendo che la contiguità fisica tra luogo di produzione e luogo di deposito è una condizione imprescindibile.

Vediamo in questo articolo tutti i dettagli.

La sentenza che chiarisce i limiti del deposito temporaneo di rifiuti a distanza 

Come anticipato, in questo articolo analizzeremo una sentenza fondamentale in tema di gestione dei rifiuti, con particolare riferimento al deposito temporaneo. 

La Corte di Cassazione, con la decisione n. 21032 del 31 maggio 2012, ha infatti offerto un’ulteriore e significativa precisazione sull’interpretazione del concetto di “contiguità”. 

Vale a dire un elemento chiave per stabilire la legittimità di un deposito temporaneo al di fuori del luogo di produzione.

Il caso trae origine da un episodio avvenuto a Milano, dove un privato era stato sorpreso a scaricare materiale di risulta proveniente dal rifacimento di un impianto fognario su un terreno situato a circa 700 metri di distanza dal cantiere.

Tale condotta era stata qualificata dalle autorità come deposito incontrollato di rifiuti, in violazione dell’articolo 256 del D.Lgs. 152/2006, e portata all’attenzione della magistratura.

La Corte ha confermato la condanna in primo grado, ritenendo che la distanza intercorsa tra il luogo di produzione del rifiuto e quello di deposito fosse incompatibile con la nozione di “deposito temporaneo”, come delineata dalla normativa vigente e dalla propria giurisprudenza.

La decisione si inserisce nel solco tracciato da una precedente sentenza (n. 35622/2007). 

Nella quale la Cassazione aveva già chiarito che la contiguità tra il sito di produzione del rifiuto e quello destinato al suo temporaneo stoccaggio rappresenta un requisito imprescindibile. 

In altre parole, il deposito temporaneo è ammissibile solo se avviene in un’area adiacente, nella disponibilità del produttore e funzionalmente collegata all’attività che genera i rifiuti.

Senza contiguità fisica, il deposito temporaneo è illecito

La sentenza 21032/2012 rafforza dunque l’interpretazione restrittiva della nozione di deposito temporaneo, escludendone l’applicazione in tutti i casi in cui non vi sia una prossimità fisica tra i due luoghi. 

Questo orientamento giurisprudenziale punta a prevenire forme di elusione della normativa sui rifiuti, che potrebbero derivare da un uso disinvolto del concetto di “funzionale collegamento” tra luoghi non effettivamente contigui.

È bene ricordare che, ai sensi dell’art. 183 del D.Lgs. 152/2006, il deposito temporaneo è una fase transitoria e non soggetta ad autorizzazione, purché avvenga nel rispetto di requisiti precisi. 

Tra questi, oltre alla distinzione tra rifiuti pericolosi e non, la presenza di contenitori idonei e la durata limitata nel tempo, vi è appunto anche la contiguità al luogo di produzione.

Nel caso specifico, la distanza di 700 metri è stata ritenuta eccessiva e incompatibile con tale presupposto.

Non è sufficiente che il terreno fosse comunque nella disponibilità del soggetto produttore: l’assenza di un collegamento fisico immediato rende impossibile configurare lo stoccaggio come temporaneo, trasformandolo di fatto in un deposito illecito.

Questa pronuncia ha importanti ricadute pratiche per imprese, enti e operatori coinvolti nella gestione dei rifiuti. 

Stabilisce infatti chiaramente che non si può invocare il deposito temporaneo per giustificare conferimenti effettuati su aree separate e distanti, anche se appartenenti al medesimo soggetto o azienda.

Ne consegue che, in assenza di contiguità e collegamento funzionale diretto, è necessario dotarsi delle dovute autorizzazioni per evitare di incorrere in responsabilità penali.

In conclusione, la Cassazione con la sentenza n. 21032/2012 ribadisce che il rispetto rigoroso dei presupposti normativi del deposito temporaneo rappresenta una tutela fondamentale per l’ambiente e per una corretta gestione del ciclo dei rifiuti. 

Ignorare tali vincoli espone a condanne per illeciti ambientali e compromette l’intero impianto normativo su cui si fonda il sistema italiano di gestione sostenibile dei rifiuti.

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