Con la sentenza n. 23629 del 24 giugno 2025, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un cittadino, confermando la condanna per gestione illecita di rifiuti in un’area demaniale sequestrata.
Vediamo in questo articolo tutti i dettagli.
Nessuna tenuità del fatto: gestione illecita dei rifiuti su area pubblica già sotto sequestro
Come anticipato, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23629/2025, ha posto la parola fine alla vicenda giudiziaria che vede coinvolto un cittadino, accusato di scarico illecito di rifiuti speciali.
I giudici di legittimità hanno dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla difesa, confermando così integralmente la condanna pronunciata dalla Corte d’Appello di Messina il 14 febbraio 2025.
Al centro del procedimento, l’abbandono su suolo pubblico, già sotto sequestro per precedenti violazioni, di rifiuti speciali di varia tipologia.
I quali sono stati trasportati con un mezzo riconducibile alla società di ristrutturazione edilizia di cui l’imputato era amministratore e legale rappresentante.
Un episodio che, secondo i giudici, evidenzia un comportamento doloso di particolare gravità, incompatibile con le attenuanti invocate dalla difesa.
Nonostante la mancata identificazione diretta delle persone che hanno materialmente scaricato i rifiuti, la responsabilità è stata ricostruita attraverso indizi gravi, precisi e concordanti.
In particolare il camion utilizzato per il trasporto era intestato alla ditta dell’imputato e lo stesso mezzo fu individuato poco dopo il fatto nei pressi della sua abitazione.
Secondo la Corte d’Appello, tale contesto era sufficiente per affermare il coinvolgimento diretto nell’episodio illecito, attraverso una valutazione fattuale non manifestamente illogica, dunque non sindacabile in sede di legittimità.
Nessuna particolare tenuità del fatto
Uno dei punti centrali del ricorso riguardava la richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p., che consente l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.
Anche su questo fronte, la Cassazione ha confermato la correttezza della motivazione della Corte di merito, che ha respinto la richiesta rilevando due elementi chiave.
Ovvero la quantità non modesta dei rifiuti abbandonati e il fatto che l’area fosse già sottoposta a sequestro perché precedentemente adibita a discarica abusiva.
Secondo la Cassazione, la condotta dimostrava una intenzionalità significativa e una consapevole violazione di norme poste a tutela dell’ambiente e della collettività, tale da escludere la configurabilità della tenuità.
Altro motivo di doglianza sollevato dalla difesa riguardava il diniego delle circostanze attenuanti generiche (art. 62-bis c.p.).
Anche in questo caso, la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di appello, i quali avevano sottolineato che la richiesta era stata formulata in termini generici, senza portare all’attenzione elementi concreti idonei a giustificare la concessione.
Viene così ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità.
Vale a dire che le attenuanti generiche non sono un diritto automatico, ma presuppongono la presenza di indicatori positivi legati alla personalità, al comportamento processuale o ad altre circostanze rilevanti.
La mera assenza di precedenti penali non è dunque condizione sufficiente per ottenerle.
Pena congrua e motivata
Infine, la difesa ha contestato la quantificazione della pena, ritenendola eccessiva.
Giudicata inammissibile anche questa censura, perché formulata in modo generico e scollegata dal caso concreto. Inoltre, poiché priva di motivazioni specifiche oltre al richiamo ad alcune massime giurisprudenziali.
La Corte di merito, invece, aveva motivato adeguatamente la sanzione irrogata. Nello specifico sottolineando come fosse prossima ai minimi edittali e proporzionata alla gravità della condotta, alla recidiva specifica e al contesto ambientale in cui è avvenuto l’illecito.
In altre parole, la sentenza n. 23629/2025 si inserisce nel solco di una giurisprudenza che, in materia ambientale, mira a contrastare con fermezza ogni forma di gestione illecita dei rifiuti.
Ciò in particolar modo quando avviene in aree pubbliche già compromesse o sottoposte a sequestro.
Con il rigetto del ricorso, la Corte di Cassazione ha riaffermato l’importanza del rigoroso rispetto delle norme ambientali e la responsabilità degli amministratori nel controllo delle attività delle imprese.