Una società di servizi ambientali chiedeva il pagamento per lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri, sostenendo di aver svolto attività oltre il contratto originario. La Cassazione ha respinto il ricorso, ribadendo l’assenza di un obbligo ex lege.
Vediamo in questo articolo tutti i dettagli.
Il contenzioso tra azienda sanitaria e società di servizi ambientali sui contratti di raccolta e smaltimento di rifiuti ospedalieri
La controversia nasce nei primi anni Duemila, quando un’azienda sanitaria locale affidò a una società esterna il servizio di raccolta e smaltimento di alcuni rifiuti differenziati, in particolare carta, cartone e inerti, prodotti all’interno di due ospedali provinciali.
L’incarico, rinnovabile di anno in anno, prevedeva limiti precisi e non si estendeva automaticamente ad altre tipologie di rifiuti.
Poco dopo, un Comune della stessa provincia affidò a un’altra società il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e assimilati, inclusi quelli provenienti dalle strutture ospedaliere.
La sovrapposizione di competenze creò presto incertezze operative, soprattutto per la presenza di cassoni non sempre chiaramente distinti tra le diverse tipologie di scarti.
La società incaricata dall’azienda sanitaria per la gestione della carta e del cartone lamentava che, nei cassoni destinati a tali materiali, venivano conferiti anche rifiuti solidi urbani indifferenziati.
Per evitare contaminazioni e problematiche gestionali, la stessa sosteneva di essere stata costretta a provvedere allo smaltimento in discarica anche di tali rifiuti, compilando i relativi formulari e sostenendo costi aggiuntivi.
Ritenendo di aver svolto un’attività effettiva di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani non coperta da un contratto scritto ma imposta dalle circostanze, la società richiese all’azienda sanitaria il pagamento delle somme corrispondenti.
Ottenuto inizialmente un decreto ingiuntivo favorevole, la vicenda approdò presto in tribunale a seguito dell’opposizione dell’ente pubblico.
La decisione del tribunale e l’appello
Il tribunale riconobbe che, pur in assenza di un valido contratto scritto per lo smaltimento dei rifiuti urbani e assimilati, la società aveva effettivamente svolto tale attività.
Pertanto condannò l’azienda sanitaria al pagamento, ritenendo che sussistesse un obbligo di legge a copertura dei costi sostenuti.
L’azienda sanitaria impugnò la sentenza, sostenendo che non poteva esistere alcun obbligo in mancanza di un appalto valido e che la società avrebbe potuto, semmai, agire con altri strumenti giuridici, come l’azione di arricchimento senza causa.
La Corte d’appello accolse in parte il ricorso, riducendo drasticamente la somma dovuta: fu riconosciuto solo il corrispettivo per carta, cartone e inerti, settori effettivamente coperti dalle proroghe contrattuali.
Al contrario, la richiesta di pagamento per i rifiuti solidi urbani fu esclusa. La Corte ritenne infatti che l’ente pubblico, una volta affidato il servizio a un soggetto privato, non potesse essere qualificato come produttore o detentore dei rifiuti ai sensi della normativa vigente.
L’obbligo di smaltimento ricadeva esclusivamente sull’appaltatore del servizio, a condizione che esistesse un valido contratto.
La società di servizi ambientali propose ricorso alla Suprema Corte. Nello specifico sostenendo che i rifiuti provenivano direttamente dall’attività ospedaliera e quindi l’azienda sanitaria dovesse essere considerata a tutti gli effetti produttrice e detentrice.
Secondo la ricorrente, tale circostanza comportava l’obbligo diretto di pagamento dei costi di smaltimento, a prescindere dalla regolarità formale dei contratti.
La società evidenziò inoltre di aver sempre informato l’ente della presenza di rifiuti non conformi nei cassoni e di aver operato con trasparenza, fornendo la documentazione necessaria.
Contestava infine che la mancata apposizione tempestiva di cartelli distintivi sui cassoni potesse configurare una sua negligenza.
La decisione della Cassazione
La Cassazione, con ordinanza resa nel 2025, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La Corte ha osservato che la società ricorrente non aveva colto la reale motivazione della sentenza d’appello.
Quest’ultima, infatti, non aveva negato che l’azienda sanitaria fosse produttrice di rifiuti. Piuttosto aveva chiarito che, una volta affidato il servizio a un soggetto esterno, l’obbligo di smaltimento grava sull’appaltatore.
In mancanza di un contratto scritto valido, la società non poteva essere considerata soggetto obbligato allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Pertanto la sua pretesa economica nei confronti dell’ente pubblico risultava priva di fondamento giuridico.
L’attività svolta costituiva una mera situazione di fatto e non generava automaticamente un obbligo di pagamento.
La Suprema Corte ha inoltre ricordato che la società avrebbe potuto eventualmente agire con strumenti diversi, come l’azione di ingiustificato arricchimento. Tuttavia, non rivendicare un credito fondato su un presunto obbligo ex lege inesistente.
Con l’ordinanza della Cassazione la vicenda si è chiusa definitivamente a sfavore della società ricorrente.
È rimasto confermato il riconoscimento solo delle somme dovute per carta, cartone e inerti, corrispondenti a circa 16 mila euro. Esclusa invece la richiesta di oltre 246 mila euro per lo smaltimento dei rifiuti urbani.
Condannata inoltre la società al pagamento delle spese processuali in favore dell’azienda sanitaria.
La vicenda mette in luce un aspetto rilevante della disciplina dei rifiuti: l’individuazione di chi sia giuridicamente tenuto allo smaltimento.
Se è vero che un ente può essere produttore dei rifiuti, una volta che affida la gestione del servizio a un soggetto privato, è quest’ultimo ad assumersi le responsabilità operative e legali. A condizione che vi sia un contratto valido.
La pronuncia ribadisce inoltre anche l’importanza della forma scritta negli appalti pubblici. Senza un titolo giuridico, non può sorgere alcun obbligo di pagamento diretto, neppure se l’attività è smaterialmente svolta.
In tali casi la tutela del soggetto che ha prestato la propria opera deve essere ricercata attraverso altri strumenti giuridici, come l’azione di arricchimento senza causa.