Rifiuti portuali: nessun potere ai Sindaci nei piani di raccolta

Con la sentenza n. 4133 del 14 maggio 2025, il Consiglio di Stato ha ribadito che l’elaborazione dei piani per la gestione dei rifiuti portuali delle navi è competenza esclusiva delle Autorità portuali, senza vincoli comunali.

Vediamo in questo articolo tutti i dettagli. 

La normativa di settore prevale sul regolamento comunale: i rifiuti in ambito portuale seguono regole autonome

La gestione dei rifiuti prodotti dalle navi nei porti italiani è oggetto di una normativa specifica che attribuisce competenze ben definite.

In questo quadro, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4133 del 14 maggio 2025, ha riaffermato un principio fondamentale: i Sindaci e gli Enti locali non hanno potere di indirizzo o approvazione sui piani di raccolta dei rifiuti portuali.

Il caso nasce da un ricorso contro un piano rifiuti adottato da un’Autorità portuale dell’Emilia-Romagna.

Il piano, nell’inquadrare parte dei rifiuti generati in porto come “assimilabili agli urbani”, si discostava dalla classificazione prevista dal regolamento comunale, che li qualificava invece come “speciali non pericolosi”.

Da qui l’opposizione del Comune interessato, che ha ritenuto il piano non conforme alla propria regolamentazione locale.

Nel rigettare il ricorso, il Consiglio di Stato ha fornito un’interpretazione chiara delle disposizioni vigenti, in particolare del D.Lgs. 182/2003 (attuativo della direttiva europea 2000/59/CE sui rifiuti delle navi) e del D.Lgs. 152/2006.

Secondo i giudici, la disciplina dei rifiuti portuali è di natura speciale e prevale sulla normativa ordinaria relativa alla gestione dei rifiuti urbani o assimilati.

In particolare, è stato evidenziato che l’autorità competente per la redazione e l’adozione dei piani portuali è esclusivamente quella portuale, la quale agisce nell’ambito delle proprie funzioni e responsabilità.

I Comuni devono essere semplicemente “sentiti”, ma non hanno alcun potere vincolante o di approvazione.

Piani portuali autonomi dai regolamenti comunali

Uno dei punti centrali della pronuncia riguarda il rapporto tra la regolamentazione portuale e quella comunale. Il Comune ricorrente sosteneva che i piani per la gestione dei rifiuti portuali dovessero essere redatti in coerenza con i regolamenti comunali in materia di rifiuti.

Questa tesi è stata però definitivamente smentita dal Consiglio di Stato, che ha precisato come non esista alcun fondamento normativo per subordinare i piani portuali alla regolazione comunale.

Secondo la Corte, il riferimento al parere dei Comuni non implica un obbligo di conformarsi alle loro indicazioni, trattandosi di un mero adempimento consultivo.

Questo approccio evita che i piani portuali possano essere condizionati da regolamenti locali che non tengono conto delle peculiarità operative e logistiche delle attività portuali.

Ovviamente la sentenza ha importanti ricadute pratiche. Da un lato, rafforza l’autonomia delle Autorità portuali, che possono adottare piani coerenti con le necessità specifiche del contesto marittimo senza dover recepire direttive locali.

Dall’altro lato, limita le possibilità di interferenza degli Enti locali, anche laddove sussistano divergenze nella classificazione dei rifiuti.

Tale autonomia risponde a un principio di efficienza, poiché le attività nei porti, soggette a regolamenti internazionali e a standard operativi elevati, richiedono piani tecnici e flessibili, non appesantiti da vincoli normativi eterogenei.

Una conferma giurisprudenziale rilevante

Questa pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale che riconosce la peculiarità del settore portuale, in cui le esigenze ambientali si intrecciano con vincoli di sicurezza, flussi commerciali internazionali e normative sovranazionali.

La qualificazione dei rifiuti portuali come “assimilabili agli urbani”, ad esempio, non implica automaticamente l’applicazione delle regole comunali sui rifiuti urbani, ma si basa su logiche funzionali e di gestione efficiente.

In conclusione, la sentenza n. 4133/2025 chiarisce definitivamente che i piani di raccolta dei rifiuti prodotti dalle navi sono di competenza esclusiva delle Autorità portuali. 

Queste ultime possono discostarsi dalle regolazioni comunali, purché agiscano nel rispetto della normativa statale e comunitaria di riferimento.

Per i Comuni, questo significa accettare un ruolo consultivo e non vincolante. Per le Autorità portuali, si tratta invece di una conferma della piena responsabilità nella pianificazione dei servizi ambientali in ambito marittimo, in un’ottica di autonomia e specializzazione.

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