Acque reflue depurate: il Ministero autorizza l’uso per scopi antincendio

Il Ministero dell’Ambiente chiarisce che le acque reflue depurate possono essere impiegate come risorsa antincendio, purché autorizzate e conformi al Dm 185/2003. Nessuna eccezione è ammessa: il rispetto dei limiti ambientali resta dunque imprescindibile.

Vediamo in questo articolo tutti i dettagli.

Standard di riferimento assimilati agli usi civili per le acque reflue depurate: nessuna deroga neppure in caso di emergenza idrica


Il riutilizzo delle acque reflue depurate rappresenta un tema centrale nella gestione sostenibile delle risorse idriche.

Con una recente risposta a interpello (11 agosto 2025, n. 152853), il Ministero dell’Ambiente ha chiarito la possibilità di destinare tali acque anche all’uso antincendio, purché sia garantita la conformità al quadro normativo vigente e venga rilasciata la necessaria autorizzazione.

La disciplina principale in materia è contenuta nel Decreto ministeriale 185/2003, che regola gli impieghi delle acque reflue depurate per finalità civili e industriali.

All’articolo 3, il provvedimento include esplicitamente l’utilizzo come “acqua antincendio”, in quanto rientrante tra gli usi industriali.

Questo significa che, già dal 2003, la normativa aveva contemplato la possibilità di un simile impiego, a condizione che vengano rispettati i requisiti tecnici e ambientali.

Il Ministero ricorda, inoltre, che la gestione degli scarichi e la tutela della qualità delle acque restano vincolate ai limiti indicati dalla tabella 3, allegato 5, parte III del Dlgs 152/2006, che costituisce il livello minimo inderogabile.

In altre parole, non è possibile applicare deroghe peggiorative neppure in presenza di situazioni straordinarie, come una crisi idrica.

Sul fronte europeo, l’impiego delle acque reflue in agricoltura è disciplinato dal Regolamento (UE) 2020/741, che definisce standard uniformi per la sicurezza e la tutela ambientale. Tuttavia, questo regolamento non si applica al riutilizzo per fini antincendio.

Per colmare il vuoto normativo, il Ministero indica che i limiti di riferimento da rispettare, in caso di utilizzo antincendio, possono essere assimilati a quelli previsti per gli usi civili delle acque depurate, come stabilito dall’articolo 4, comma 1, e dall’allegato 1 del Dm 185/2003.

La logica è che l’uso antincendio, pur rientrando formalmente tra gli usi industriali, ha caratteristiche materiali simili agli usi civili, come la distribuzione e l’impiego in contesti pubblici.

La necessità dell’autorizzazione preventiva

Un punto fondamentale chiarito dal Ministero riguarda l’obbligo di ottenere una specifica autorizzazione al riutilizzo.

Non si tratta di un’autorizzazione generale o automatica: ogni impianto o ente che intenda destinare le acque reflue depurate all’uso antincendio deve presentare un’apposita istanza e dimostrare la conformità ai requisiti normativi.

Il Ministero sottolinea che non sono ammesse deroghe o eccezioni: neanche emergenze come la scarsità idrica possono giustificare un utilizzo non autorizzato o in violazione dei parametri di qualità.

Questo approccio, seppur rigoroso, risponde all’esigenza di tutelare la salute pubblica e garantire la sicurezza ambientale.

Il chiarimento del Ministero apre la strada a un impiego più esteso delle acque reflue trattate, in un settore, quello della lotta agli incendi, di crescente importanza.

L’estate 2025 ha mostrato come la frequenza e l’intensità degli incendi boschivi siano in aumento, complici i cambiamenti climatici e le ondate di calore sempre più estreme.

Disporre di fonti idriche alternative, come quelle provenienti da depuratori, può contribuire ad alleggerire la pressione sulle risorse idropotabili, che devono rimanere prioritarie per il consumo umano.

In questo senso, il riutilizzo delle acque reflue rappresenta non solo una soluzione tecnica, ma anche una misura di resilienza ambientale.

Inoltre, l’utilizzo in contesti antincendio riduce il rischio di competizione tra usi agricoli, civili e industriali, canalizzando risorse altrimenti non sfruttabili in un ambito che ha carattere emergenziale.

Criticità e cautele da adottare

Tuttavia, il ricorso alle acque reflue affinate non è privo di complessità.

La qualità dell’acqua deve essere costantemente monitorata, al fine di garantire che non vi siano contaminazioni che possano compromettere l’efficacia dei sistemi antincendio o generare rischi indiretti per l’ambiente e le persone.

Le infrastrutture di distribuzione devono inoltre essere adeguatamente progettate per gestire portate e pressioni necessarie allo spegnimento degli incendi, evitando infiltrazioni o contatti con reti destinate ad altri usi.

Il Ministero invita dunque gli enti competenti a predisporre piani di gestione accurati, che includano controlli analitici periodici e procedure di emergenza in caso di superamento dei limiti consentiti.

In altre parole, il riutilizzo delle acque reflue depurate per scopi antincendio si inserisce perfettamente nei principi di economia circolare e uso efficiente delle risorse.

Trasformare uno “scarto” come il refluo trattato in una risorsa utile significa ridurre gli sprechi e contribuire alla sostenibilità complessiva del sistema idrico.

L’approccio normativo, pur stringente, consente quindi di sfruttare in maniera innovativa un flusso idrico che altrimenti verrebbe semplicemente scaricato nell’ambiente, con minori benefici collettivi.

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