Nuovi criteri UE per CSRD e CSDDD: verso un reporting di sostenibilità più snello e mirato

La Commissione Europea (UE) rivede le soglie e i criteri dimensionali per le imprese soggette agli obblighi di rendicontazione ESG, con l’obiettivo di ridurre gli oneri amministrativi, semplificare il reporting e rendere più efficiente l’applicazione delle direttive CSRD e CSDDD.

Vediamo in questo articolo tutti i dettagli. 

Un passo verso la semplificazione del reporting ESG con i nuovi criteri UE per CSRD e CSDD

Il 13 ottobre 2025 segna una data importante per le imprese europee: la Commissione Affari Giuridici del Parlamento Europeo ha approvato le modifiche proposte dalla Commissione UE in materia di reporting di sostenibilità (CSRD) e due diligence (CSDDD).

Si tratta di un pacchetto di interventi che, nella scia della Comunicazione COM(2025)/81, mira a ridurre il numero di aziende obbligate al reporting ESG e a snellire gli adempimenti burocratici per chi rimane soggetto alla normativa.

L’obiettivo generale è duplice: da un lato, alleggerire la pressione regolatoria sulle imprese di piccole e medie dimensioni, dall’altro rendere più efficace e coerente il quadro delle informazioni ambientali, sociali e di governance a livello europeo.

Una delle novità principali riguarda la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), la normativa che impone alle imprese di comunicare in modo trasparente le proprie performance ESG e la conformità ai criteri della Tassonomia UE.

Infatti, con le modifiche appena apportate, gli obblighi di rendicontazione si applicheranno solo alle imprese con più di 1.000 dipendenti medi annui e un fatturato netto superiore a 450 milioni di euro.

Le aziende che non superano tali soglie non saranno più obbligate a pubblicare report di sostenibilità, ma potranno farlo su base volontaria, seguendo linee guida semplificate predisposte dalla Commissione.

Un altro aspetto chiave riguarda la rendicontazione settoriale, che diventerà anch’essa volontaria, concentrandosi su dati quantitativi e su un minor carico amministrativo.

Inoltre, per evitare che le grandi imprese “scarichino” i loro obblighi sui fornitori più piccoli, è stato chiarito che non potranno richiedere informazioni aggiuntive oltre gli standard volontari previsti.

Questo nuovo approccio punta a favorire la proporzionalità, ossia un equilibrio tra trasparenza e sostenibilità economica, permettendo alle imprese di destinare risorse alla transizione verde senza appesantimenti burocratici.

CSDDD: un approccio basato sul rischio nella catena del valore

Sul fronte della Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), le modifiche approvate restringono il campo di applicazione alle sole grandi imprese con almeno 5.000 dipendenti, e un fatturato minimo annuo di 1,5 miliardi di euro.

Le società extra-UE saranno obbligate solo se il loro fatturato nell’Unione risulterà significativo.

Inoltre, un cambiamento cruciale riguarda l’approccio ai controlli lungo la catena del valore: non sarà più necessario richiedere informazioni sistematiche a tutti i partner commerciali.

Le aziende dovranno invece basarsi su un approccio “risk-based”, ossia raccogliere dati e verifiche solo in presenza di rischi concreti di impatti negativi in termini ambientali o sociali.

In questo modo, l’UE introduce una logica di proporzionalità anche nella due diligence, riconoscendo che il monitoraggio continuo di tutte le relazioni commerciali sarebbe non solo oneroso, ma anche inefficiente.

Rimane tuttavia l’obbligo, per le imprese soggette, di elaborare un piano di transizione climatica, coerente con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e con il percorso verso un’economia a basse emissioni.

Per aiutare le aziende a orientarsi tra le nuove disposizioni, verrà istituito un portale digitale europeo che fungerà da sportello unico (“one-stop shop”).

La piattaforma metterà a disposizione modelli standardizzati, linee guida, esempi pratici e risorse operative, integrandosi con il già esistente Punto di Accesso Unico Europeo (ESAP).

Questo strumento digitale rappresenta una delle innovazioni più significative: non solo centralizza l’informazione, ma consente una maggiore trasparenza e interoperabilità dei dati ESG tra imprese, autorità di controllo e investitori.

In prospettiva, la digitalizzazione del reporting potrà anche facilitare il monitoraggio dei progressi verso gli obiettivi di sostenibilità e rendere più accessibili le informazioni per cittadini e stakeholder.

Le prossime tappe legislative

Dopo il voto in Commissione, il prossimo passo sarà la sessione plenaria del Parlamento Europeo, prevista per la fine di ottobre, durante la quale gli eurodeputati dovranno approvare formalmente il mandato negoziale della Commissione.

Se approvato, il testo passerà alla fase di trilogo, dove Parlamento, Consiglio e Commissione definiranno la versione definitiva della normativa.

L’entrata in vigore avverrà solo dopo l’approvazione finale e la trasposizione nei singoli ordinamenti nazionali, processo che potrebbe concludersi nel corso del 2026.

In altre parole, la revisione degli Scope della CSRD e della CSDDD rappresenta un tentativo concreto dell’Unione Europea di armonizzare le esigenze della transizione ecologica con quelle di competitività e semplificazione per le imprese.

Ridurre il numero di soggetti obbligati non significa abbassare l’asticella della sostenibilità, ma concentrarsi su chi ha realmente l’impatto maggiore e liberare risorse per la crescita delle imprese minori.

Il messaggio politico è chiaro: l’Europa vuole continuare a essere un punto di riferimento globale nella rendicontazione ESG, ma senza sacrificare la proporzionalità, la chiarezza e l’efficienza amministrativa.

Se il percorso legislativo proseguirà senza ostacoli, dal 2026 il nuovo quadro normativo potrebbe segnare una svolta nella governance della sostenibilità europea, rendendola più realistica, digitale e in linea con i principi di un’economia verde ma competitiva.

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